GENERAZIONE FAMIGLIA CENSURATA: PILLON RISPONDE ALLO IAP

Il 4 ottobre scorso Generazione Famiglia ha ricevuto dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria un’ingiunzione a desistere dalla diffusione della pubblicità sulla campagna anti-Gender del Bus della Libertà, poiché 1) non sarebbe chiara la natura “di parte” delle opinioni espresse; 2) violerebbe la dignità umana delle persone transgender; 3) non rispetterebbe la suscettibilità dei minori che dovessero vederla per strada. Trovate tutti i dettagli sulle contestazioni in questa petizione su CitizenGO. Generazione Famiglia ha peraltro chiesto all’Avv. Simone Pillon di ribattere alle accuse dello IAP. 

IAP // Generazione Famiglia

In ordine alla ingiunzione di desistenza del 4 ottobre 2017 valgano le seguenti argomentazioni sia al fine di opposizione motivata, sia per la divulgazione mediatica di quanto occorso.

  1. Prescindendo da ogni legittima e doverosa valutazione circa l’applicabilità del codice di autodisciplina alla questione che ne occupa, deve preliminarmente sottolinearsi che la comunicazione in parola NON HA VIOLATO IN ALCUN MODO l’art. 46 del vigente codice di autoregolamentazione. E’ proprio infatti il medesimo codice a garantire a chiare lettere che i promotori dei messaggi di sensibilizzazione al pubblico per temi di interesse sociale “POSSONO ESPRIMERE LIBERAMENTE LE PROPRIE OPINIONI SUL TEMA TRATTATO”. Unico onere è che sia riportata l’identità degli autori della comunicazione e che risulti chiaramente che si tratta di opinioni dei promotori e non di fatti accertati. Quanto alla prima imposizione, nulla quaestio visto che i manifesti erano ampiamente firmati e riconducibili all’associazione Generazione famiglia. Quanto alla seconda circostanza, nella contestazione del presidente Orlando non è dato di capire quale sarebbe la frase del manifesto che avrebbe violato tale disposizione. L’impressione è che l’ingiunzione, pur – a parole – dichiarando “la legittimità di esprimere le proprie opinioni, quali esse siano, in proposito”, poi nel prosieguo mira di fatto a limitare ampiamente ogni presa di posizione divergente dal c.d. “gender mainstreaming” e pertanto deve essere restituita al mittente.
  2. Non sfugga infatti a chi legge che oltre ai codici di autoregolamentazione, alle linee guida rispettose dell’identità di genere e alle altre pubblicazioni consimili, esiste nel nostro Paese – ed è in vigore – la carta costituzionale del 1948 nella quale ancor oggi si legge all’art. 21 che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Ancora, se non bastasse, vi si legge che “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha più volte reiterato l’assoluta centralità e inviolabilità di tale diritto, affermando che tale libertà «è tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla nostra Costituzione, una di quelle […] che meglio caratterizzano il regime vigente nello Stato, condizione com’è del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale» (sentenza n. 9 del 1965), e rimarcando che il diritto previsto dall’art. 21 Cost. è «il più alto, forse,» dei «diritti primari e fondamentali» sanciti dalla Costituzione (sentenza n. 168 del 1971). La libertà di manifestazione del pensiero è quindi, secondo la Corte, tra i «diritti inviolabili dell’uomo» di cui all’art. 2 Cost. (sentenza n. 126 del 1985), con la conseguenza, da un lato, che la Repubblica ha il dovere di garantirla anche nei confronti dei privati (nel senso che «non è lecito dubitare che la libertà [in parola] debba imporsi al rispetto di tutti, delle pubbliche autorità come dei consociati, e che nessuno possa arrecarvi attentato», sentenza n. 122 del 1970) e, dall’altro, della non superabilità della stessa. La Consulta ha posto una forte attenzione sul rapporto tra libertà di manifestazione del pensiero e regime democratico, affermando che la prima è «pietra angolare dell’ordine democratico» (sentenza n. 84 del 1969), «cardine di democrazia nell’ordinamento generale» (sentenza n. 126 del 1985). Sulla stessa linea anche le sentenze: n. 11 del 1968, che definisce il diritto di cui all’art. 21 Cost. «coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione»; n. 98 del 1968, secondo cui la «libertà di manifestazione del pensiero […] è ordine dell’ordinamento democratico»; n. 126 del 1985 (già citata), ove si sottolinea nuovamente «la rilevanza centrale […] che la libertà di manifestazione del pensiero, anche e soprattutto in forma collettiva, assume ai fini dell’attuazione del principio democratico». Unici limiti, oltre a quelli previsti dalla norma in parola (contrarietà al buon costume) sono anche quelli impliciti, indicati dalla Consulta nella successiva elaborazione costituzionale attinenti all’onore, alla reputazione ed alla riservatezza della persona; all’ordine pubblico; alla sicurezza dello Stato; al regolare svolgimento della giustizia; alla tutela di alcune forme di segreto. Nessuno di questi limiti è stato travalicato dal manifesto in parola, che dunque deve esser ricondotto alla INCOMPRIMIBILE libertà di espressione del pensiero e di CRITICA POLITICA in relazione ai tentativi – del resto ben noti al pubblico e sollevati anche in occasione della battaglia politica che ha preceduto l’approvazione della legge sulle c.d. “unioni civili”.
  3. L’impiego dell’espressione “Basta violenza di genere” non può essere in alcun modo limitato all’angusto ambito in cui il presidente Orlando vorrebbe rinchiuderlo, visto che l’espressione “genere” per espressa ammissione di numerose associazioni e di numerosi parlamentari rese anche nell’ambito del dibattito di cui sopra, non può riferirsi al solo ambito maschile o femminile, ma deve estendersi alla infinita congerie di autopercezioni individuali. Si veda sul punto un interessante articolo, pubblicato dal mensile scientifico National Geographic Italia nell’edizione di gennaio 2017 e titolato “gender, la rivoluzione” nel quale Susan Goldberg scrive che “Tutti ci portiamo addosso etichette applicate dagli altri. Quelle lusinghiere – “generoso”, “intelligente”, “divertente” – le indossiamo con orgoglio. Quelle negative possono essere fardelli che pesano per tutta la vita, accuse da cui cerchiamo disperatamente di scagionarci. L’etichetta più resistente, e quella che probabilmente influenza di più la nostra vita, è la prima che ci viene assegnata: “è un maschietto!” o “è una femminuccia!”. Anche se in un suo famoso aforisma usò la parola “anatomia”, in sostanza Sigmund Freud intendeva dire che il genere di appartenenza è il destino. Oggi però alcune delle convinzioni più radicate sui generi stanno cambiando rapidamente e drasticamente. Ecco perché abbiamo dedicato un intero numero all’esplorazione del concetto di genere, nella scienza, nei sistemi sociali, nelle civiltà umane nel corso della storia. Come scrive Robin Marantz Henig nell’articolo Questioni di genere, è in corso una “evoluzione del concetto di donna o uomo e [dei] significati di termini di parole come transgender, cisgender, non conforme, genderqueer, agender o una qualsiasi delle 50 opzioni che il profilo di Facebook offre ai suoi utenti. Nel frattempo gli studiosi stanno scoprendo una serie di nuove e complesse realtà riguardo la conoscenza biologica del sesso. Molti di noi hanno imparato alle superiori che il sesso è determinato dai cromosomi sessuali e da nient’altro: XX per una femmina, XY per un maschio. Ma la questione non è così lineare”.
  4. Ecco, appunto. La questione non è così lineare e verrebbe da chiedersi chi realmente stia “distorcendo il significato comune dei termini pertanto fuorvianti” visto che il termine “genere” è ormai ostaggio di interpretazioni ideologiche. Basti leggere la strategia nazionale LGBT 2013-2015 pubblicata dal dipartimento pari opportunità e dall’UNAR oppure, per quanto riguarda il settore della scuola, le attività specifiche di prevenzione e contrasto della violenza e della discriminazione mediante i Protocolli di Intesa stipulati tra il Ministro delle Pari Opportunità ed il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per comprendere che dietro alla lodevole lotta alla violenza di genere intesa come “atti di sopruso violento verso le donne” come scrive il presidente Orlando, si nasconda al contrario una campagna ascientifica e incontrollata di decostruzione dell’identità sessuale dei ragazzini anche in tenera età senza alcun controllo da parte dei genitori. E’ ormai da tempo che questo accade e si potrebbero citare innumerevoli eventi che – partendo da legittime e lodevoli iniziative di contrasto alla violenza, si sono trasformati in campagne di indottrinamento forzato, come peraltro denunciato anche ai massimi livelli dallo stesso Santo Padre e, più laicamente, da numerosi parlamentari (Cfr. verbali stenografici discussione alla camera e al senato in vista dell’approvazione delle c.d. “unioni civili” ovvero in tema di istituzione del reato di “omofobia”). L’uso dell’espressione “violenza di genere” era dunque necessario per svelare che dietro al paravento di tale lodevole campagna sta invece transitando una ideologia che gli autori del manifesto hanno il pieno diritto di voler contraddire pubblicamente. Dunque, nessuna distorsione del linguaggio, anzi, semmai la lecita critica ideale e politica e la ferma volontà di riportare nell’alveo della correttezza quell’espressione che altri hanno ormai pubblicamente distorto a loro uso e consumo.
  5. Si ritiene ideologica e infondata anche l’affermazione del presidente Orlando secondo cui “le esperienze in cui la violenza di genere si consuma sono proprio all’interno della dinamica “tradizionale” dei rapporti maschio femmina”. Tale affermazione è smentita proprio da uno studio di ARCILESBICA Roma, denominato “Eva contro Eva” pubblicato già in data 26/09/2011 secondo il quale “(…) la violenza domestica tra coppie dello stesso sesso si verifica in percentuali simili a quelle della violenza tra coppie eterosessuali. Il modello di abuso comprende un circolo vizioso di maltrattamenti fisici, emotivi e psicologici che fanno sprofondare la vittima in sentimenti di isolamento, paura e senso di colpa. Le vittime tendono ad essere più riluttanti nel denunciare gli abusi alle autorità legali per problemi legati alla visibilità e alla carenza di servizi sociali predisposti. D’altro canto le donne che commettono atti di violenza nei confronti delle partner costituiscono un gruppo altrettanto eterogeneo, costituito da infinite storie personali, familiari, esperienze pregresse più o meno dolorose”.
  6. Assume poi, il presidente Orlando, la violazione dell’art. 10 del codice di autodisciplina a causa della “perentorietà delle immagini” ritenuta tale da “veicolare un contenuto offensivo per la dignità della persona”. Un primo ragionamento su tale inaccettabile accusa andrebbe fatto in ordine alla presunta perentorietà delle immagini… Il manifesto in parola NON PORTA alcuna fotografia ma solo disegni, oltretutto molto stilizzati e tali da non essere in alcun modo di impatto ad alcuno. Rappresentazioni consimili sono su tutte le porte delle toilette di migliaia di scuole materne, primarie e secondarie in tutto il nostro Paese e nessuno (a parte i soliti noti dell’attivismo gender) in centinaia di anni le ha mai ritenute né perentorie né lesive della propria dignità. Allo stesso modo ritenere come ritiene il presidente Orlando che il “pubblico di adolescenti potrebbe risultare turbato per la carica traumatica delle parole e delle immagini” di cui al manifesto è, spiace scriverlo, semplicemente e puramente ideologico e strumentale. Se infatti fosse vero quanto contestato, allora il mondo dovrebbe esser pieno di adolescenti turbati per aver letto sulla carta di identità la propria appartenenza al sesso maschile o femminile, oppure di giovani dalla vita distrutta per esser stati costretti a fare sport nella squadra o nel campionato corrispondente al proprio sesso e così via.
  7. Altrettanto censurabile è l’affermazione (peraltro frutto di una interpretazione del presidente Orlando e non certo desumibile dal manifesto) secondo cui “Libertà” sarebbe unicamente quella di “proclamare l’identità sessuale come maschio o come femmina”. Per il vero non si conoscono allo stato attuale della ricerca scientifica terzi o quarti sessi, essendo semmai ferma l’elaborazione ideologica alla fabbricazione di nuovi “generi” ma non di nuovi “sessi” vista la materiale impossibilità di decostruire il patrimonio cromosomico che ogni cellula della persona porta con sé e nel quale è indelebilmente marcata la differenza sessuale. Ma a prescindere dall’uso dei termini, deve ritenersi semplicemente infondata tale critica, visto che per l’appunto il manifesto non faceva altro che cogliere la verità del dato naturalistico e scientifico in tutta la sua solare semplicità. Non si capisce infatti quale altra risposta possa dare ciascuno di noi ove interpellato sul proprio sesso, quantomeno anagrafico…
  8. La verità è che è davvero in corso una violenta colonizzazione culturale dei nostri giovani, e scopo (lecito fino a prova contraria) degli associati a Generazione famiglia è quello di tentare di arginare tale pericolosissima deriva. Suona pertanto quasi ironico il successivo riferimento che il presidente Orlando fa alla presunta violazione dell’art. 11 del codice di autoregolamentazione, sostenendo che “la comunicazione colpisce infatti anche quei minori non ancora pronti ad una corretta elaborazione critica del messaggio, potendo creare non solo disordine nell’immaginario, ma soprattutto la possibilità di banalizzazione di condizioni personali spesso molto delicate e anche dolorose”. Basti in questa sede ricordare che a norma di legge (art. 29 DPR 396/2000) “Nell’atto di nascita sono indicati il luogo, l’anno, il mese, il giorno e l’ora della nascita, (…) il sesso del bambino e il nome che gli viene dato ai sensi dell’articolo 35”. Secondo il nostro ordinamento p dunque inviolabile diritto della personalità del fanciullo vedersi riconosciuto il proprio sesso e non si capisce di quale elaborazione critica dovrebbe esser capace un minore al quale la natura, la fisiologia e l’ordinamento giuridico hanno attribuito un sesso. Peraltro, le situazioni delicate e dolorose cui viene fatto riferimento, sono proprio quelle che l’azione di Generazione famiglia si propone di arginare, così come icasticamente definito da un recente statement del Collegio dei Pediatri americani[1], secondo i quali

a) La sessualità umana è un tratto biologico oggettivamente

b) Nessuno è nato con un genere ma ognuno è nato con un sesso biologico. Il genere è un dato sociologico e psicologico e non un dato oggettivamente biologico

c) La supposizione di una persona di essere qualcuno che non è, è un segno di pensiero confuso. Quando un ragazzo in salute pensa di essere una ragazza o viceversa, esiste un problema di salute della mente e non del corpo e deve essere trattato come tale. Questi ragazzi soffrono di disforia di genere, un disordine mentale riconosciuto del DSM 5

d) La pubertà non è una malattia e gli ormoni che bloccano la pubertà possono essere pericolosi.

e) Secondo il DSM 5 più del 98% dei ragazzi e più dell’88% delle ragazze confusi sulla loro identità di genere accettano il loro sesso biologico dopo aver naturalmente passato la loro pubertà

f) La percentuale di suicidi sono circa 20 volte maggiori tra gli adulti che usano ormoni dell’altro sesso o si sottopongono a chirurgia di riassegnazione del sesso, e questo accade perfino in Svezia che è il più avanzato paese nella tutela dei diritti LGBTQ

g) E’ ABUSO SUI MINORI CONDIZIONARE I BAMBINI A CREDERE CHE IMPERSONARE L’ALTRO SESSO PER TUTTA LA VITA CON ASSUNZIONE DI ORMONI O CON INTERVENTI CHIRURGICI. Sostenere la normalità del discostarsi dal proprio sesso come fosse normale provocherà confusione nei bambini e nei loro genitori portando ancor più bambini a presentare problemi di disforia di genere

Si crede non vi sia altro da aggiungere.

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Per le ragioni sopra esposte si contesta integralmente in fatto e in diritto l’ingiunzione n. 68/2017 dell’Istituto Autodisciplina Pubblicitaria.

Perugia, 10 ottobre 2017

 (Avv. Simone Pillon)

[1] https://www.acpeds.org/the-college-speaks/position-statements/gender-ideology-harms-children: Michelle A. Cretella, M.D. President of the American College of Pediatricians; Quentin Van Meter, M.D.Vice President of the American College of Pediatricians Pediatric Endocrinologist; Paul McHugh, M.D. University Distinguished Service Professor of Psychiatry at Johns Hopkins Medical School and the former psychiatrist in chief at Johns Hopkins Hospital
Originally published March 2016
Updated September 2017

Miriam