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Tutto comincia e dipende dal matrimonio. Questa lezione storica emerge dalle vicende degli Stati sedicenti “progrediti” che iniziarono anni fa a smantellare il diritto di famiglia a colpi di ideologia gender e si ritrovano ora a dover regolare l’ingigantirsi imponderabile del Frankenstein che ne è uscito: un mostruoso mercato dell’umano. Banche del seme, ovuli in saldo, corpi in affitto, uteri artificiali, alchimie genetiche, figli take away ‘soddisfatti o rimborsati’, eugenetica.com, diritto al figlio, diritto al nipote (sì, è stato preteso): tutto comincia e dipende dal mezzo con cui riconoscer la famiglia. Abbiamo scoperto che se non siamo tutti figli di mamma e papà, allora siamo tutti prodotti di gamete 1 e gamete 2 (almeno), succubi dell’altrui disponibilità al pari di un tamagotchi qualsiasi. Per questo La Manif Pour Tous francese, qualsiasi sia la contestazione sociale più attuale – oggi contro l’utero in affitto –, continua a perseguire il medesimo obiettivo, l’abrogazione della Loi Taubira sul “matrimonio per tutti”: finché regge il falso mito di progresso del desiderio emotivo quale unico fondamento della famiglia sarà impossibile rimettere al centro i diritti dei figli, cioè dell’essere umano.

L’Italia sta riconsiderando le leggi della società che riguardano l’identità e il ruolo della famiglia. Gli ingranaggi parlamentari del disegno di legge (ddl) a prima firma Monica Cirinnà (Pd) sulle cosiddette “unioni civili” hanno ripreso a macchinare spediti verso la discussione e, forse, la decisione delle Camere. Si vedrà.

Cosa c’è in ballo col ddl Cirinnà, perché la sua approvazione sarebbe un fatto grave? Bisogna fare un passo indietro e chiedersi: perché serve una legge del genere? Risposta corrente è che serva a rendere possibile l’esercizio di diritti a chi li vanta ma non può praticarli. È veramente questa la filosofia del provvedimento? Tutti (gli informati) sanno benissimo che oggi la convivenza stabile e duratura è già stata riconosciuta di per sé fonte del diritto di disporre liberamente di tutti i propri affari nella relazione vissuta: economia, salute, mutua responsabilità, etc. Le rivoluzione del diritto privato in merito è l’asse della battaglia politica delle associazioni del movimento gay, che pretendono, a dirla tutta, l’abolizione del requisito della diversità sessuale del matrimonio. La forma delle “unioni civili” è solo il compromesso su cui è disposto a cedere chi non condivide la rincorsa al “matrimonio egualitario”, e che sono disposti ad accettare alcuni di quelli che invece la percorrono mentre sperano di poterne fare solo il primo passo verso l’obiettivo. Perché si chiede il matrimonio egualitario? Perché si contesta il sistema tradizionale di riconoscimento della famiglia; sistema considerato prodotto da un regime “eterosessista” ed “eteronormativo” oppressivo, violento e discriminatorio verso chi sente la propria identità sessuale e “gender” non conforme al canone della paradigmatica complementarietà tra uomo e donna, tra maschile e femminile, tramandata – dicono – da un’antropologia patriarcale e maschilista.

Questo è il vero senso e l’espressa direzione delle riforme in gioco: proclamare l’irrilevanza della diversità sessuale nella formazione della famiglia, anche ai fini dei progetti di filiazione oggi permessi dallo sviluppo biomedico e tecnologico. Poiché, però, i progetti di filiazione che manipolano arbitrariamente gli elementi naturali dell’esistenza degradano l’intangibile dignità della persona, e quelli che la privano del padre o della madre violano il diritto di venire al mondo nel rispetto della congenita predisposizione dei caratteri comuni al genere umano (una sorta di pari opportunità esistenziali), non è giusto né utile parificare alla famiglia diverse e nei fatti non omogenee forme di relazione interpersonale: essa sola svolge per sua natura la funzione fondamentale di rigenerare ed accogliere nuova vita nella protezione dei richiamati diritti.

Il ddl Cirinnà si pone sulla scia di questa parificazione sostanziale, nella negazione che la diversità sessuale della coppia riconosciuta come famiglia valga a differenziarla, soprattutto ai fini e nella rilevanza pubblica della sua potenzialità procreativa, da una coppia di persone dello stesso sesso. Il testo unificato del disegno di legge è, in breve, un rimando alla disciplina complessiva del matrimonio, che va ad applicarsi anche alle coppie di persone dello stesso sesso. Di fatto è un para-matrimonio: che sia accessibile alle sole coppie di persone dello stesso sesso dimostra l’intento di farne un istituto del tutto speculare a quello matrimoniale esistente. La stepchild-adoption è invece solo un pericoloso escamotage. Consentire a una persona di adottare figli altrui in presenza della mera convivenza, senza il vincolo matrimoniale e la diversità sessuale dei futuri “genitori”, significa non solo negare il diritto del figlio di fare esperienza del più elementare e pratico “Perché” della sua esistenza, ma anche avallare e incentivare il ricorso all’estero alla PMA e all’utero in affitto da parte di coppie di persone dello stesso sesso. Non a caso la stepchild-adoption è invocata oggi (solo) da chi ha già agito così e spera di veder condonato un comportamento in Italia illegale. D’altro canto lo straziante scenario del bimbo strappato dall’amore di chi sin dalla nascita se n’è occupato insieme al genitore biologico, dopo la morte di quest’ultimo, è una trama fantasy. La legge sulle adozioni permette già che l’orfano sia adottato dalla persona con la quale sia provato un rapporto stabile e duraturo, la quale potrà anche essere preventivamente nominata dal genitore sua tutrice legale.

Il più solido argomento giuridico contro il ddl Cirinnà e ogni intenzione di parificare alla famiglia le unioni omosessuali (quindi anche la civil partnership di Renzi) proviene, quasi paradossalmente, proprio dalla sentenza con cui la Corte Costituzionale ebbe a dichiarare necessaria e dovuta una legge sulle “unioni civili” (sent. 138/2010). Con questa sentenza la Corte ha avuto il merito di escludere in modo netto una radice costituzionale comune dei diritti della famiglia e dei diritti della persona convivente in quanto tale: il riconoscimento di questi non trova riscontro nelle norme dedicate alla famiglia, al matrimonio e ai rapporti di filiazione (artt. 29-31), ma nella disposizione generica sui diritti dell’uomo “anche nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (art. 2).

Ciò esclude fondamento alla pretesa di dotare la convivenza in sé di un’autonoma dignità giuridica pubblica, che il matrimonio riconosce invece alla famiglia in virtù della sua “(potenziale) capacità procreativa”, dovendo il legislatore limitarsi a chiarire quali diritti spettano alla persona in ragione del suo condividere con altri un progetto di vita stabile e duraturo. Su questo profilo il movimento gay ha costruito una campagna di vittimismo mediatico senza decenza, millantando fumosi “diritti umani al matrimonio e all’adozione” solennemente disconosciuti dalla stessa Corte Europea dei Diritti Umani.

Scriveva Chesterton sulle ideologiche cavalcate progressiste: “Prima di abbattere un recinto bisogna fermarsi e chiedersi per quale ragione fu costruito”. Chi sarà chiamato a decidere sull’abbattimento del recinto matrimoniale e sulla rottamazione della famiglia – quale che sarà l’onestà con cui si ammetterà di star per fare proprio questo – insegua in coscienza l’unica risposta giusta e sia coraggioso nel raggiungerla. Per il maggior bene suo, nostro e di tutti quelli che verranno. Pour Tous.

 

di Filippo Savarese per La Croce

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