Tra la fine dell’anno scorso e l’inizio del corrente il tormentone mediatico imponeva che fossimo appunto tormentati dalla questione della trascrizione di ‘matrimoni’ contratti all’estero tra persone dello stesso sesso nei registri comunali dello stato civile (questione diversa dall’approvazione di cosiddetti “registri comunali delle unioni civili”). Si trattò chiaramente di una ventata di quasi goliardica demagogia politica, a cui offrirono le vele le amministrazioni più ideologiche come quelle di Marino a Roma, Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli e Merola a Bologna (nessuna delle quali oggi se la passa troppo bene, per la serie “eufemismi”). Si attaccarono al tram una serie di altre città minori, avendo intuito che il momento mediatico poteva assicurare qualche prima pagina magari anche nazionale.

Il piano era chiaro: bombardare mediaticamente l’Italia con una raffica di trascrizioni di nozze gay – corredate dalla solita mitragliata di affermazioni sui diritti umani, il progresso, l’uguaglianza, la cività, etc – per forzare lo stato amministrativo delle cose e rendere indifferente, quindi più accettabile, l’approvazione di una legge nazionale che rimettesse in ordine il caos volutamente creato. Ovviamente quella legge necessaria era – e sarebbe – il ddl Cirinnà sulle cosiddette “unioni civili”, vera e propria bomba a mano nell’ordinamento giuridico, che fa saltare in aria l’intero sistema di riconoscimento costituzionale della famiglia tramite il matrimonio (che il ddl ricalca snaturandolo) e di protezione dei figli, specialmente nel loro diritto umano di non essere oggetto di compravendita tramite eterologa o utero in affitto (pratiche i cui effetti il ddl Cirinnà intende invece epsressamente riconoscere) e di essere invece semplicemente figli della loro mamma e del loro papà.

Sul fronte del ddl Cirinnà sappiamo com’è andata e come va. Il ddl che doveva essere approvato entro settembre 2014, poi entro primavera 2015, infine entro la prossima settimana, è stato rimandato a “entro l’anno”. Per ora, 1500 emendamenti e un po’ di sano ostruzionismo lo tengono inchiodato in Commissione Giustizia, tanto che cresce la tentazione nel duo Cirinnà-Lo Giudice di mandare al diavolo la Commissione e passare direttamente in Aula senza relatore, scelta che spacchetterebbe tutto il lavoro fatto finora rimettendolo daccapo nelle mani di tutti i Senatori, allungando i tempi di moltissimo ma con la speranza di trovare sponde più sicure nel M5S e in altre varie frange. Vedremo.

Tornando alle trascrizioni. Giuridicamente – cioè applicando il principio di legalità – la questione non ha bisogno di chiarimenti. La Corte di Cassazione ha già stabilito da anni che le trascrizioni di matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso sono illegittime, poiché l’ordinamento italiano non riconosce a questi atti alcun effetto pratico. Vladimiro Zagrebelsky, già giudice alla Corte Europea dei Diritti Umani, criticò duramente su La Stampa il “ribellismo dei Sindaci“, arrivando a definirlo “frutto e sintomo, oltre che causa, di un disfacimento delle istituzioni fondamentali della Repubblica, che non dovrebbe essere apprezzato nemmeno da coloro che, nel merito, condividano il segno politico che le illegali registrazioni esprimono“.

Tra i protagonisti di questo “disfacimento istituzionale” figura anche il sindaco di Treviso, Giovanni Manildo del Partito Democratico, avvocato cattolico cresciuto in ambiente scoutistico. Nell’ottobre scorso fu infatti entusiasta di accogliere con altisonanti apprezzamenti e richiami alla solita minestra falso-progressista la richiesta di trascrivere un matrimonio contratto in Brasile da parte del trevigiano Franco Fighera e del compagno Joe Fernandes. Il Sindaco fu spalleggiato fino all’effettiva trascrizione (gennaio), dall’assessore alle Pari Opportunità di SEL Anna Caterina Cabino, certissima che “è più che legittima la richiesta di trascrizione di un matrimonio da parte di una coppia gay“. Come no.

Nel mentre il Ministero dell’Interno aveva però emanato la nota “circolare di Alfano“, che richiamando la normativa vigente incaricava i Prefetti di annullare tutte le trascrizioni avvenute nelle zone di loro competenza. Fu così che, a febbraio, anche il Prefetto di Treviso mandò il proprio commissario a operare l’annullamento. Ne scaturì anche qui come altrove, ad esempio a Roma, un contenzioso tra ricorrenti e Prefettura presso il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR). Nel caso di Roma il TAR del Lazio annullò l’annullamento del Prefetto, ma solo perché, a detta di quei giudici, l’annullamento spettava per legge solamente al Tribunale Civile, per iniziativa del Pubblico Ministero. Nella sentenza con cui non riconosceva legittimità all’incarico conferito ai Prefetti dal Ministro Alfano, il TAR aggiungeva comunque che “nel decidere tali controversie, il giudice amministrativo ha eseguito una ricognizione della normativa comunitaria e nazionale della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, giungendo ad affermare che l’attuale disciplina nazionale non consente di celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso e, conseguentemente, matrimoni del genere non sono trascrivibili“.

Ieri si è espresso invece il TAR del Veneto sul ricorso presentato contro l’annullamento delle trascrizioni da parte della Prefettura di Treviso, giundendo a conclusioni diverse da quelle del TAR del Lazio (sempre però sulla questione di competenza, non sul fatto che, comunque, le trascrizioni sono illegittime). I giudici amministrativi affermano che “il Sindaco, in qualità di esecutore della legge nazionale, e non anche di rappresentante della comunità locale, è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell’Interno, istruzioni della cui corretta esecuzione è specificamente incaricato il Prefetto, in quanto titolare del relativo potere di vigilanza“.

Ma al TAR del Veneto va un merito ulteriore a quello di aver applicato la legge, e cioè quello di aver ufficialmente riconosciuto e denunciato le ragioni di demagogia politica dell’intera operazione. Si legge nella sentenza che la trascrizione “è stata effettuata al solo fine di introdurre surrettiziamente una tipologia di matrimonio allo stato non prevista dalla legge e che potrebbe peraltro ingenerare un falso affidamento nei confronti degli stessi ricorrenti, non potendo costoro beneficiare, stante l’inefficacia di tale atto per lo Stato italiano, di nessuno dei vantaggi che la legge riconosce invece al matrimonio celebrato tra persone di sesso diverso“.

Salviamo il Diritto dai paladini dei “diritti“.

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Filippo Savarese

MANIF

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