Negli ultimi anni, a seguito dell’adozione governativa della “Strategia nazionale contro le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere” (2009), si sono moltiplicati i finanziamenti pubblici per l’introduzione nelle scuole – dagli asili nidi alle superiori – di progetti presentati come “contro le discriminazioni”, “contro il bullismo”, “contro l’omofobia”, “contro gli stereotipi di genere”, etc. Si tratta di attività organizzate e proposte per la maggior parte da associazioni che gravitano nella galassia del movimento Lgbt (lesbian-gay-bisexual-transexual).

L’impronta filosofica, psicologica e sociologica di riferimento di questi corsi è quella delle “teorie di genere” (Gender theories), un complesso di speculazioni su come si strutturerebbe culturalmente l’identità sessuale delle persone, a scapito della naturale “identità di genere” che esse vivrebbero se non fossero costrette dalle norme sociali ad interpretare ruoli sessuali stereotipati. Gli stereotipi in questione sono del tipo: l’uomo e la donna sono naturalmente orientati a cercarsi e completarsi sessualmente; la madre e il padre sono le figure genitoriali naturali di una persona; la società riconosce nella famiglia la coppia potenzialmente fertile; etc.

Si tratta di bandi che con l’effettiva prevenzione di bullismo e discriminazione non c’entrano davvero un bel niente: per “omofobia” (o “omonegatività”) i promotori intendono qualsiasi tipo di considerazione non accogliente nei confronti dell’omosessualità o delle battaglie politiche del movimento gay (matrimonio e adozione per coppie di persone dello stesso sesso). Il pericolo non sono azioni violente o discriminatorie, ma opinioni e valutazioni morali personali. Che devono essere purificate ed emendate quand’è possibile farlo con più facilità, cioè nell’età dell’infanzia o dell’adolescenza, in luoghi in cui i ragazzi sono costretti ad ascoltarti e al riparo dall’interessamento pericoloso delle loro famiglie.

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Poiché queste teorie collidono con le convinzioni scientifiche, morali, religiose e filosofiche della grande maggioranza dei cittadini, le notizie circa la loro diffusione destano sempre grande scalpore e proteste. A inizio 2014 furono le proteste della società civile ad impedire che l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali diffondesse in tutte le scuole (peraltro all’insaputa del Ministero competente) degli opuscoli sull’educazione sessuale ed affettiva impregnati di questa ideologia. Contro la diffusione di queste opinabili sciocchezze sull’identità sessuale dell’essere umano sono anche nate ultimamente numerose associazioni popolari, tra le quali noi de La Manif Pour Tous Italia. Da subito abbiamo iniziato a raccogliere centinaia di segnalazioni dalle scuole di tutta Italia, debitamente documentate, che stiamo inserendo in un grande archivio nazionale che ci riserviamo di rendere pubblico a tempo debito. Si và, comunque, dal figlioletto che torna a casa col rossetto sulle labbra (perché deve imparare, a forza se serve, che l’associazione rossetto/donna è uno stereotipo da eliminare), al telo scuro dietro al quale i bimbi della materna vengono spinti seminudi perché si tocchino più o meno incidentalmente (perché devono imparare… già, che cosa devono imparare in questo caso? Non vorremmo dover ipotizzare lezioni tendenti alla pedofilia normalizzata).

Al netto di tutto quanto accaduto ultimamente, la Curia di Milano ha ritenuto di voler agire per informarsi sullo stato delle cose negli istituti scolastici della città. Và detto infatti che nella grande maggioranza dei casi le famiglie sono tenute totalmente all’oscuro dello svolgimento di queste attività, oppure informate in modo vago e indefinito sui contenuti pratici che sono veicolati ai ragazzi e sulle modalità di applicazione. L’iniziativa dell’Arcidiocesi, che ha chiesto agli insegnanti di religione di comunicare eventuali progetti in corso nelle loro scuole, è quindi più che opportuna e meritoria: la Conferenza Episcopale Italiana dovrebbe avere il coraggio di organizzare una grande mappatura nazionale di questo fenomeno, che contrasta con la libertà delle famiglie di conoscere cosa viene trasmesso ai loro figli e come, e di scegliere se aderirvi o meno. È proprio dello stato totalitario sottrarre competenza educativa alla famiglia per affidarla, in definitiva, al potere politico pubblico (che autorizza e finanzia queste attività). In questi giorni in Germania si è ripetuto il terrificante episodio dell’arresto di alcuni genitori che si erano rifiutati di far partecipare i loro figli all’educazione sessuale imposta a scuola dallo Stato, perché non conforme ai loro convincimenti morali. Siamo davvero già con tutti e due i piedi in una nuova forma dittatoriale, ancorché nella sgargiante divisa arcobaleno.

Non c’è bisogno di meravigliarsi: da subito è partita la classica e ormai rodata campagna di mistificazione a mezzo stampa, con titoloni sparati in ogni dove sulla “nuova Inquisizione” che chiede in gran segreto ai professori di religione, dipendenti statali, di “fare la spia” sulle “scuole pro-gay”. E giù quintali di inchiostro digitale per far circolare la solita lettura distorta (come quella che ha travolto la professoressa di Torino accusata per giorni di aver definito in classe l’omosessualità una malattia da curare: falsità ben presto ribaltate, che sono valse alla signora la solidarietà dei suoi stessi colleghi d’istituto). L’ala radicale del Partito Democratico ha chiesto l’intervento del Ministero dell’Istruzione, tanto per dare l’idea della strumentalizzazione ideologica macchinata.

La Curia di Milano ha creduto di doversi giustificare e scusare per l’accaduto, affermando che l’intenzione era solamente quella di poter meglio aiutare gli stessi insegnanti di religione nel trattare i temi quando la scuola se ne fosse direttamente interessata. È triste che al giorno d’oggi una istituzione così importante come la Chiesa Cattolica debba temere guai e ritorsioni per sue scelte più che legittime.

Qual è però l’esatta proporzione dei fatti? Cosa c’è di male nella vicenda? Che cosa si può rimproverare alla Curia di Milano, effettivamente? Ecco il testo della lettera inviata agli insegnanti di religione: “Cari colleghi, come sapete in tempi recenti gli alunni di alcune scuole italiane sono stati destinatari di una vasta campagna tesa a delegittimare la differenza sessuale affermando un’idea di libertà che abilita a scegliere indifferentemente il proprio genere e il proprio orientamento sessuale. Per valutare in modo più preciso la situazione e l’effettiva diffusione dell’ideologia del ‘gender’, vorremmo avere una percezione più precisa del numero delle scuole coinvolte, sia di quelle in cui sono state effettivamente attuate iniziative in questo senso, sia di quelle in cui sono state solo proposte. Per questo chiederemmo a tutti i docenti nelle cui scuole si è discusso di progetti di questo argomento di riportarne il nome nella seguente tabella, se possibile entro la fine della settimana. Grazie per la collaborazione“.

Ovviamente il movimento gay può stigmatizzare la sostanza sottesa a questa comunicazione quanto vuole; può ribadire la solita solfa retorica dell’arretratezza, del bigottismo, dell’oscurantismo medievale e tutto quanto ultimamente si sente ripetuto chi si azzarda a sostenere la complementarietà naturale tra il maschile e il femminile, con tutto quello che comporta naturalmente anche in ambito relazionale e sociale, come il diritto e il naturale bisogno di ogni nascituro di crescere col papà e la mamma che sono stati necessari perché si potesse anche soltanto parlare di “nascituro”. Ma oltre ciò? Perché la Chiesa di Milano, l’Associazione dei Genitori, La Manif Pour Tous o chicchessia non possono usare gli strumenti che hanno a disposizione per avere una comprensione organica del fenomeno? Si tratta di notizie segrete? Quello che la Curia di Milano vuole sapere – per i motivi che essa preferisce – deve restare oscuro? Due sono le cose, infatti: o il numero delle scuole coinvolte nella propaganda gender dal movimento gay è di pubblico dominio e può serenamente circolare, e allora non si capisce l’attacco alla Curia; oppure è bene che queste informazioni rimangano il più possibile private, taciute, disperse.. e allora è confermato che si sta perpetuando, anche a Milano, la più grande campagna di delegittimazione dei diritti educativi naturali delle famiglie che si sia mai vista in epoca sedicente democratica.

Il movimento gay e la parte politica che gli serve come sponda nelle stanze dei bottoni devono infatti comprendere che le “teorie di genere” sono opinioni sul grande e affascinante tema della sessualità personale. Opinioni contestate o semplicemente rifiutate da una quantità smisurata di famiglie italiane, che hanno il diritto di mantenere saldamente sotto controllo l’indirizzo generale dell’educazione sessuale ed affettiva dei loro figli. Evidentemente questa libertà non è prevista nella “Strategia Nazionale Lgbt”.

Filippo Savarese

Portavoce La Manif Pour Tous Italia

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