(di Filippo Savarese, articolo apparso su www.tempi.it il 2 marzo 2018)

La libertà in Italia viaggia sulle ruote di un Bus

“Allora? Com’è andata!?”.
Di ritorno dal secondo tour nazionale del Bus della Libertà, amici e parenti mi accolgono con la più classica (perché dovuta) delle domande.
Io, però, che avevo promesso una rubrica quotidiana per Tempi che non sono riuscito a scrivere per la concitazione del viaggio – di cui dirò le cause –, ho risposto a tutti così: «Lo leggerete su Tempi, com’è andata!».

Quindi, cara mamma e cari lettori tutti, eccoci qui. E dico subito che è andata bene, grazie a Dio.
Più che una campagna di sensibilizzazione nazionale, quale vorrebbe essere, il viaggio del Bus della Libertà è sempre un’avventura in piena regola (questa era la seconda edizione). È come salire su un galeone con una ciurma improbabile e salpare senza sapere bene cosa troverai di isola in isola.
Girare l’Italia a bordo di un pullman di linea da 52 posti interamente ricoperto dalla scritta a caratteri cubitali «Non confondete l’identità sessuale dei bambini», per denunciare la continua “colonizzazione ideologica” del gender nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, è un’esperienza a dir poco sui generis.

Gli intenti della missione erano due: risvegliare e provocare.
Primo. Risvegliare le coscienze, o almeno tenerle sveglie, sul princìpio imperituro e assolutamente non negoziabile della libertà educativa della famiglia.
Cioè del fatto che nell’educazione dei figli, almeno finché si lasciano educare, i genitori vengono naturalmente prima dello Stato e dell’ideologia politica che, giocoforza, lo governa.
Per questo si chiama il Bus “della Libertà”. Perché la libertà educativa è la prima di tutte le altre. L’educazione, infatti, è come una macchina del tempo che permette ai buoni princìpi di sopravvivere alle gelate relativiste o alle carestie nichiliste che si ripetono piuttosto ciclicamente nelle diverse epoche.
Faccio un esempio: oggi più che mai il valore della vita umana è sceso talmente in basso da aver fatto perdere il senso stesso di cosa significhi “vita” e cosa “umana”. Non penso solo all’assuefazione generale verso gli stermini abortivi di massa o ai lager dell’eutanasia “democratica”, ma anche al florido mercato dei figli a porta via dalle mamme di cui si affitta l’utero, alla riduzione a una questione meramente quantitativa o logistica del fenomeno migratorio (“e ‘mo questi dove li mettiamo?”), alla trasformazione del lavoratore in una variabile tra tante nelle statistiche socio-economiche, e ne approfitto per aggiungere anche quegli inquietanti passeggini per cani e gatti che si vedono in giro e con cui si tenta di elevare l’animale domestico allo status di figlio.
Insomma, il concetto di vita umana non se la passa benissimo.
Nonostante questo lugubre scenario, noi continuiamo ad avere il diritto di sperare in meglio. Possiamo sperare che, in futuro, si tornerà a riconoscere alla vita umana il valore che ha e che merita. E non in senso sentimentale. Non parlo di quella (finta) speranza da premio di consolazione.
La nostra speranza è tangibile, perché ha già messo radici. La nostra speranza sono i nostri figli e i nostri nipoti. Le generazioni che stiamo crescendo e a cui stiamo testimoniando che vale la pena combattere per quel tolkeniano “buono” che c’è, e nonostante tutto resta, in questo mondo.
Vogliamo difendere il valore della vita? Difendiamo la libertà educativa della famiglia. Vogliamo difendere il valore del matrimonio? Difendiamo la libertà educativa della famiglia. Vogliamo difendere il seme? Difendiamo il terreno in cui è nascosto per sopravvivere al gelo o all’arsura.
Il primo obiettivo, tener sveglie le coscienze, mi sembra ampiamente centrato, perché durante i quasi 4000 chilometri di tour, che ha toccato 11 grandi città italiane in 8 giorni, abbiamo distribuito quasi 5000 Manuali per Genitori Protagonisti nelle Scuole.
Si tratta del più aggiornato e utile vademecum attualmente in circolazione per aiutare i genitori a sfruttare al meglio le possibilità di partecipazione previste dal sistema scolastico alla loro ‘componente’ nei Consigli di Classe e di Istituto (potete scaricare la vostra copia qui).

È proprio dentro la scuola, infatti, che si difende in modo più diretto ed efficace la libertà educativa dei genitori. Lì dove si decide, materialmente, il contenuto dell’alleanza educativa tra famiglia e Stato: il punto di mediazione e soprattutto i limiti invalicabili. Che cosa entra, e come, e che cosa resta fuori dal cancello.
Migliaia di genitori, negli ultimi 10 giorni, hanno ora il loro Manuale in mano. E non hanno paura di usarlo. Si aggiungono ai 10.000 che lo avevano già ricevuto in regalo via posta nell’ultimo anno, formando un piccolo esercito di madri e padri consapevoli e reattivi.

Anche il secondo obiettivo, provocare media e politica, è stato più che soddisfatto. La stampa locale e il web hanno seguito con decine di articoli le tappe del tour, e la politica… beh, abbiamo fatto rosicare parecchi e direi con un notevole crescendo.
A cominciare dalla prima tappa a Reggio Calabria, dove siamo stati “accolti” da un comunicato stampa della Commissione Pari Opportunità del Comune che definiva “offensiva” e “vergognosa” la nostra semplice “presenza” in città. Commissione presieduta da una nota esponente locale dell’Arcigay. Cioè quelli che fanno di tutto per andare nelle scuole a insegnare come si promuove l’uguaglianza. Si intende: l’uguaglianza tra loro e chi la pensa come loro.

A Torino l’amministrazione cinquestelle ha fatto un passo oltre il comunicato di disprezzo politico. L’Assessore (anche qui) alle Pari Opportunità, Marco Giusta, già dirigente locale (anche qui) di Arcigay, dopo aver scoperto del nostro arrivo ha chiamato in fretta e furia gli Uffici Comunali per assicurarsi che non ci avessero concesso nessun tipo di permesso.
Siccome, ahilui, il permesso di occupazione di suolo pubblico c’era stato concesso eccome, e l’avevamo pure già pagato, a poche ore dal nostro arrivo ne ha sfacciatamente imposta e vergognosamente ottenuta la revoca immediata e insindacabile.
Una revoca di cui, peraltro, stiamo valutando di verificare la legittimità nelle sedi opportune.
Abbiamo comunque deciso di disobbedire civilmente al clamoroso sopruso (non possiamo lasciare tutto il divertimento ai Radicali) recandoci ugualmente dove c’era stato consentito di sostare, e meritandoci per questo una multa della Polizia Municipale.
La consideriamo una “tassa sulla libertà di pensiero” da pagare dove comanda la Lobby Lgbt. Un po’ come la quota richiesta per quieto vivere (anzi, per sopravvivere) agli infedeli dove vige la Sharia.

Il climax dell’isteria politicamente corretta non si poteva che avere a Bologna, la “democratica” Bologna, dove il tentativo è stato direttamente quello di non farci nemmeno materialmente entrare in Città.
Benché avessimo organizzato il tour in modo tale da far tappa nelle piazze sempre in tarda mattina, credendo che a quell’ora i centri sociali e gli altri collettivi antagonisti fossero ancora intenti a inzuppare il biscotto nella tazza del latte, abbiamo scoperto che alcuni di loro conoscono l’esistenza delle ore antimeridiane e, per di più, son disposti ad impiegarle.
Entrando a Bologna, scortati dagli agenti della Digos come in ogni città, ci vien detto che Piazza Malpighi, dove avevamo tutto il diritto di sostare e dove ci attendevano i nostri sostenitori, era già stata “occupata” dai contro-manifestanti di sinistra e LGBT e che, quindi, bisognava cambiare destinazione.
Con tutto rispetto per la splendida Piazza San Domenico nella quale volevano rinchiuderci a mo’ di riserva indiana, ci siamo opposti sin da subito all’idea inaccettabile di dover rinunciare all’esercizio dei nostri diritti costituzionali per colpa di una banda di strilloni, per di più privi della necessaria autorizzazione a strillare da parte della Questura.
Anche grazie all’intervento personale del Senatore Giovanardi, la situazione si è sbloccata in nostro favore, e in mezzo alle sirene spiegate abbiamo raggiunto gli eroici amici bolognesi che già fronteggiavano – separati da carabinieri e poliziotti in assetto antisommossa – i contestatori arcobaleno.
Avreste dovuto vedere la loro faccia quando abbiamo iniziato a gridare – noi a loro – “Bologna è antifascista! Bologna non vi vuole!”. Rivendicando il diritto di avere le nostre opinioni e di manifestarle, difendevamo infatti, noi e non loro a parole, i più alti princìpi costituzionali e democratici. Ho persino osato definirci “partigiani del terzo millennio”. Ne ho visti svenire un paio.
Tra mille altri episodi e aneddoti che potrei raccontare, ripeto che il tour del Bus della Libertà è stata una vera avventura. Come le migliori, resa speciale anche dai compagni di viaggio: Jacopo, Maria Rachele (e il suo Spiripillo in arrivo), il videomaker che non vuole essere chiamato fotografo, la fotografa necessaria a non far sentire il videomaker un fotografo, mio fratello nel ruolo di distributore di Manuali e i due autisti, a tratti i più emotivamente coinvolti di tutta la truppa.
Otto giorni in giro per l’Italia con un enorme pullman per chiedere di non confondere l’identità sessuale dei bambini con l’ideologia gender rispettando il diritto di libertà educativa della famiglia. Migliaia di chilometri macinati e di amici incontrati da vicino, raggiunti da lontano e comunque sensibilizzati. Un piccolo esercito messo in moto.
Un modo, non proprio “come tanti”, per restare svegli. E per restare vivi.

Miriam

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