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Un volenteroso articolo dell’Espresso denuncia la “censura preventiva” della chiesa ai danni dei famigerati libretti dell’Ufficio nazionaleantidiscriminazioni razziali contro l’omofobia a scuola. L’accusato è inparticolare il presidente della Cei, cardinale Bagnasco, che qualche giorno fa ha dedicato all’iniziativa dell’Unar parole preoccupate. E più che fondate, visto che i libretti pretendono di “educare alla diversità”nelle scuole italiane affermando che “i tratti caratteriali, sociali eculturali, come il grado di religiosità, costituiscono fattori importantida tenere in considerazione nel delineare il ritratto di un individuo omofobo”. Ecco perché, di tutto l’argomentare del settimanale, è condivisibile solo la definizione “tragicomico” attribuita al caso. Solo che, a renderlo tale, è il modo in cui è stato gestito dal direttore dell’Una, Marco De Giorgi. Il quale ha allestito, senza concordare con iministeri competenti e senza coinvolgere associazioni che non fossero diprovata fede Lgbt, un’operazione che si traduce in aperta campagna didenigrazione (questa sì, dettata da vera e conclamata fobia) neiconfronti delle persone che professano una religione. Assai prima che ilpresidente della Cei ne parlasse pubblicamente, quei libretti erano stati sconfessati sia dal ministero per le Pari opportunità, nella persona dell’allora titolare Maria Cecilia Guerra, sia dal Miur, per bocca del sottosegretario Gabriele Toccafondi, rimasto in carica con il governo Renzi. Ma non sarebbe forse accaduto nulla se le associazioni riunite nelForum delle famiglie, i comitati Sì alla famiglia, le Sentinelle in piedi e la Manif pour tous Italia (gente comune, genitori e giovani, nonmercenari della Cei) non avessero denunciato un’operazione che vuole introdurre la teoria del gender nelle scuole italiane, dalle materne allesuperiori, usando l’ampio, confuso e strumentale cappello della lotta all’omofobia. L’Espresso se ne faccia una ragione: sono state le famigliea bocciare quei libretti ispirati al disprezzo anticattolico e antifamiglia, e sono loro a voler essere consultate quando in ballo c’è il diritto di educare i figli. Un diritto riconosciuto da tutte leconvenzioni internazionali ma, a quanto pare, non dall¹Unar.

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