“In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.” 

Egregi Onorevoli,

l’ordine degli Psicologi del Lazio ci ha fatto sapere tramite il proprio sito e alcune testate online che vi ha mandato un documento che dimostrerebbe che l’omogenitorialità non incide su una crescita armoniosa dei bambini, chiedendovi, a ragion di ciò, di votare a favore del ddl Cirinnà. Dopo un attenta lettura del documento prodotto sorgono alcune domande che pensiamo sia utile condividere con voi, soprattutto perché il tema è “il benessere dei bambini”.

Un primo gruppo di domande si interroga sulla leicità di quanto accaduto.

1) L’Ordine degli psicologi del Lazio invia un documento (non del tutto onesto, poi chiariremo il perché) sull’omogenitorialità quando tutto il mainstream sta provando a negare che obiettivo primario del ddl Cirinnà è proprio quello di aprire alla filiazione omosessuale. Forse che questo documento senza saperlo scardina una delle bugie più efferate degli ultimi mesi? Non si parla di riconoscimento di diritti tout court ma di riconoscimento di diritti di filiazione (uno dei pochissimi “diritti” che non sono già riconosciuti dal codice civile italiano agli omosessuali, perché inesistente, per fortuna).

E allora, un figlio è un diritto? O ha diritti? E’ di una persona? O è una Persona?

2) Quali sono i compiti dell’Ordine Professionale?

Deve assumere posizioni di natura “scientifica” (e le virgolette le chiariremo dopo) o piuttosto dovrebbe tutelare la professione, gli iscritti e i clienti? E questo documento li tutela? E questo documento in nome di chi è stato prodotto? E nel caso fosse lecito, è onesto produrre questo documento senza aprire un dibattito interno, anzi affidandosi ad un’unica persona, dichiaratamente di parte (e anche questo lo chiariremo dopo) per compilare una “rassegna di letteratura” e comunicarla al Senato facendo finta che sia obiettivamente la voce di tutti gli psicologi? O forse che un ordine dovrebbe tutelare gli iscritti e non le idee di chi lo governa? TUTTO QUESTO, IN NOME DI CHI?

3) Chi ha redatto il documento?

La firma sull’elenco di ricerche per conto dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, e consigliera di tale Ordine, è della Dott.ssa Paola Biondi. La stessa che, in un articolo dal titolo “Un piccolo step verso la child adoption” pubblicato sul sito ufficiale dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, ha consigliato la lettura di un libro, scritto da Federico Ferrari, per approfondire le ricerche svolte a favore dell’omogenitorialità. (Federico Ferrari, insieme a Paola Biondi fa parte del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Psicoterapia per lo Studio delle Identità Sessuali: un’associazione che si occupa di identità sessuale). Nel libro consigliato non solo si parla solo di omogenitorialità in quanto tale, ma anche dei vari modi di poter divenire genitori, come l’utero in affitto, di cui tanto abbiamo parlato in questi ultimi mesi, e la co-genitorialità. Per co-genitorialità si intende che due sconosciuti, mettendosi d’accordo con un contratto, decidono di aver un figlio senza amarsi e senza obbligo di coabitazione. Nel libro si sottolinea che, mentre nel divorzio questo avviene per una rottura, qui è una scelta. Ci si conosce su un sito Internet, si firma un contratto di cogenitorialità, si fa un figlio, e il gioco è fatto.

E i bambini? E la mole di letteratura che parla delle conseguenze sui bambini delle separazioni dei genitori?

Sebbene la dott.ssa Paola Biondi non abbia direttamente avallato tutti i contenuti del libro ci si interroga sul perché lei, rappresentate ufficiale del OPL, utilizzi la pagine del OPL per invitare alla lettura di un libro che cerca di edulcorare pratiche presentandole come moralmente accettabili. La Dott.ssa Biondi, che ne pensa della maternità surrogata e della co-genitorialità? E la sua posizione è de facto quella dell’Ordine? Se sì, perché?

Nel merito del documento redatto, facendo finta che alla domanda “è lecito” si possa rispondere “sì”, sorgono alcune domande sul metodo di raccolta e di presentazione degli studi.

1) Nel documento non sono presenti tutti gli studi, ma sembra esserci stata una cernita. Chi ha deciso la cernita? Quali sono stati i criteri? La letteratura raccolta consta di articoli informativi e studi, anche con campionamenti microscopici, quasi da far ipotizzare che tutto sia stato ritenuto valido purché “facesse numero”. Perché alcuni studi sono stati esclusi? Perché sono stati esclusi soprattutto quegli articoli presenti in letteratura che definiscono limiti e critiche piuttosto dettagliate agli studi presentati invece validi in questa rassegna?

2) Qual è il criterio scientifico per cui in questa rassegna vengono presentati i risultati degli studi pro omogenitorialità nascondendone critiche e limiti, e vengono invece presentati solo le critiche e i limiti degli studi contrari senza palesarne i risultati? Perché due pesi e due misure? A cosa sono dovuti?

[C’è bisogno di specificare a chi non è addetto ai lavori che ad oggi non è possibile prendere una decisione chiara e favorevole a nessuna delle due tesi contrapposte. Infatti le critiche mosse alle ricerche, sia di un tipo che dell’altro, sono praticamente le stesse: campionatura, validità interna, etc. Se attraverso questi criteri è possibile asfaltare gli studi contrari all’omogenitorialità, attraverso gli stessi identici criteri è possibile annullare gli studi a favore. Per questo i due pesi e le due misure evidentemente usati in questa rassegna spaventano. Molto.]

3) E se sono stati esclusi gli studi commissionati da organi “di parte”, perché non sono stati esclusi gli studi commissionati da organi dell’ “altra parte”?

4) E il bambino? Perché è il grande assente?

5) Nella maggior parte degli studi presentati a favore dell’omogenitorialità ci si concentra su un eventuale capacità genitoriale di una persona omosessuale, che nessuno intende negare a prescindere. La domanda che ci si pone è: un omosessuale può essere un ottimo genitore? Si. La domanda però che sfugge e che dovrebbe essere invece il “tema” è: due persone dello stesso rispondono ai bisogni del bambino in egual modo di due persone di diverso sesso? Maschio/maschio e femmina/femmina equivalgono a maschio/femmina? Il punto non è quindi l’abilità genitoriale, ma ciò di cui il bambino ha bisogno dentro sé, e che ha necessità di trovare riscontro all’esterno. Questi bisogni sono inscritti biologicamente ed evolutivamente, e non possono essere modificati dall’opinione e dalle ideologie, o dalle abilità di un genitore. Un genitore maschio, per quanto bravo, non può rispondere ai bisogni biologicamente inscritti in un bambino che invece può soddisfare un genitore femmina. E viceversa. E su questi temi abbiamo biblioteche di letteratura. Siamo quindi sicuri che la differenza sessuale non conta? Ne abbiamo davvero le prove?

6) A tal proposito, dove è, nell’elenco degli studi, la letteratura sul ruolo specifico del padre e della madre, che in una coppia omogenitoriale viene a mancare necessariamente? La mamma e il papà si equivalgono? L’identità sessuata non vale? E’ possibile interrogarsi su un argomento così delicato senza interessarsi del bambino e sui suoi bisogni? Perché slegare gli studi dall’insieme di ricerche esistenti e dalle dinamiche umane sottostanti? O forse la dott.ssa Paola Biondi accoglie l’antropologia sottostante agli “gender studies”? Maschile e femminile non significano più nulla?

[Anche qui ho bisogno di una parentesi: già esplicitata più volte, e cioè tutte le volte che gli ordini vari hanno espresso pareri come “la teoria gender non esiste”. In un’occasione in particolare (all’ennesima richiesta di aiuto di un clinico iscritto all’ordine e quindi con difficoltà di esposizione, per paura di essere segnalato o buttato fuori addirittura, come già accaduto in più casi) sono andata a ricercarmi tutti gli scienziati stranieri che hanno parlato apertamente di “gender theory“, anche in psicologia, suppergiù a partire dagli anni 50. Questo perché continuano ad arrivarmi comunicati stampa degli ordini regionali (oltre a quello che ci regalò l’ordine nazionale già a settembre) in cui di corsa ci si impegna, mentendo, a negare l’esistenza di questa teoria gender, e poi si invita, due o tre righe sotto, la scuola ad accogliere progetti che intendano etc etc (sappiate che quando mi ritrovo a spiegare in due parole cosa raccontano i gender studies o la gender theory di norma uso proprio quelle due righe di “etc etc”: sintesi sempre perfetta.). A prescindere che farebbe ridere, se non fosse pericoloso, leggere “la teoria gender non esiste”, il fatto è che invece “esistono i gender studies”, e la cosa è strana visto che di norma (cioè in qualsiasi Università) per teoria si intende un corpo di studi che abbiano la stessa prospettiva/ipotesi di funzionamento di un fenomeno o comportamento. Ai “gender studies”, quindi, dovrebbe corrispondere una “gender theory”. A prescindere dal fatto che, comunque, essendo una teoria che non trova pieno riscontro nella realtà ma solo nella testa di chi la propone si dovrebbe definire “ideologia”. Per venire incontro all’Ordine ho pensato opportuno trovare nella letteratura straniera articoli/libri che si riferissero alla “teoria gender” che in questi contesti si fa finta di disconoscere. Articoli scientifici in inglese in cui ci si riferisse proprio a questa sconosciuta “gender theory” dai più vecchi ai più recenti, sia di alcuni autori che non conoscevo, lo ammetto, sia di altri più noti, come Money, Foucault, fino alla Butler e alla Bem, per dire i più famosi. Sarebbe d’uopo ora postare tutta la letteratura, ma non penso sia il luogo adatto. Chi vuole potrà domandarmela senza problemi].

7) E dal momento che una coppia dello stesso sesso non può generare vita (e dal momento che escludiamo l’adozione visto che in Italia per ogni bambino che aspetta di essere adottato ci sono già c.a. almeno dieci coppie di mamma e papà dichiarati pronti ad adottare – e l’istituto dell’adozione non serve a dare un figlio a chi non lo ha, ma a restituire ad un bambino a cui una tragedia ha strappato una mamma e un papà, ciò che appunto una tragedia ha strappato, quindi una mamma e un papà), è possibile che l’ordine non si interessi dell’evidente fattore di rischio presente nel tranciare il forte legame che sappiamo tutti crearsi sin dalla vita intrauterina tra il bambino e la madre? E di quei ragazzi che chiedono di conoscere il padre? Loro non interessano?

In attesa che venga aperto un dibattito franco e leale, che dia lo stesso valore a chi promuove questo cambiamento e a chi riserba dei dubbi scientifici sulla bontà, che intenda indagare le vere conseguenze che questo cambio epocale antropologico comporterebbe mi domando: al netto della mancanza di argomentazioni scientifiche solide e coerenti, o presupposti antropologici valoriali e epistemologici condivisi, è onesto prendere decisioni che modificheranno in maniera evidente il contesto in cui un bambino si troverà a crescere? E’ onesto ipotizzare un “vediamo che succede”, sperimentando scientemente sui bambini? O forse parlando di bambini, dovrebbe valere il principio di prudenza? O forse nel rispetto della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” dell’ONU, all’articolo 3, sarebbe utile ragionare e non prendere scelte affrettate?

 

Roma, 17 febbraio 2016

Maria Rachele Ruiu 

 

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Miriam