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In questi giorni si è svolto a Roma un meeting della Edge (Excellence and Diversity by GLBT Executives), la prima lobby italiana promotrice degli interessi della categoria “LGBT”, ovvero lesbiche-gay-bisessuali-transessuali, a sua volta parte della più ampia Egma (European Gay & Lesbian Managers Association). La Edge si occupa di promuovere politiche di accettazione e “valorizzazione” delle diverse “identità di genere” all’interno delle aziende, affinché le società possano trarre profitto economico dal rinnovato clima di serenità tra il personale.

Angelo Caltagirone, imprenditore siciliano trasferito in Svizzera nonché fondatore e presidente della Edge stessa, ha spiegato il ragionamento che sottende all’operato della sua lobby. Il quadro di partenza che a suo dire rappresenterebbe la realtà di oggi è presto detto. Primo: il 5-6% dei dipendenti di ogni azienda è omosessuale. Più che di un dato empirico quest’affermazione sembrerebbe l’espressione di un dogma (un dogma molto comodo) dal momento che non trova raffronto  in alcuna indagine statistica, che infatti non viene affatto richiamata; secondo: questi lavoratori sono persone insicure e frustrate, che non rendono tutto il potenziale che l’azienda potrebbe sfruttare. La conclusione appare ovvia: il contrasto delle asperità di matrice “omofobica” negli ambienti di lavoro migliora lo stato d’animo dei dipendenti, dunque la loro rendita, dunque il profitto generale.

Non c’è alcun dubbio sul fatto elementare per cui una persona felice vive meglio (e dunque anche lavora meglio). La vera domanda è se sia reale il quadro critico delineato da Caltagirone, che giustificherebbe la peculiarità della sua lobby, o se la Edge fosse solo l’ennesima espressione di quell’apparato di categoria che si batte per rivoluzionare l’ordinamento sociale vigente quanto ai soliti temi dell’antropologia familiare e sessuale, non avendo quindi nulla a che spartire con la lotta alle discriminazioni di genere.

Sorprendentemente, è lo stesso manager che getta nel discredito la supposta urgenza della sensibilizzazione, per cui tanto si batte, quando afferma serenamente che, dati Istat alla mano, non è possibile sostenere che l’Italia sia un Paese omofobo. Certo, chiarisce, capita il verificarsi di episodiche discriminazioni (a parte l’ultimo tragico suicidio nella Capitale, i cui profili causali sono tuttora al vaglio della magistratura), ma il fenomeno non assume il carattere della generalità. Caltagirone ammette così implicitamente, dunque, che non sussiste alcuna emergenza in ordine al soccorso di quell’ipotetico “5-6%” di lavoratori omosessuali sparsi nelle aziende italiane: questi lavoratori con tendenze omosessuali non sarebbero infatti vittima di alcun clima “omofobico”, non sarebbero affatto persone depresse e abbrutite e quindi non avrebbero alcun bisogno dei suoi servizi.)

Se la storia finisse qui, la Edge potrebbe passare i prossimi anni con le mani in mano. D’altro canto emerge però che essa è attivamente impegnata in una pervasiva opera di pressione politica e di finanziamento economico (il core business di una lobby degna di questo nome, dopotutto) volta alla parificazione nell’ordinamento civile del matrimonio eterosessuale con le unioni omosessuali  . Ritorna sempre, dunque, lo stesso tipico refrain del caso: dietro un manto di belle parole di pacificazione civica (di cui, come ampiamente visto e confermato, non c’è alcun bisogno), c’è invece un reale intento di natura squisitamente politica.

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