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Pubblicato il 27 luglio 2014 su “Bologna Sette” di Avvenire

Da lunedì scorso anche a Bologna è possibile registrare “matrimoni” contratti all’estero da coppie di persone dello stesso sesso. Lo ha deciso il sindaco Virginio Merola, che ha presentato la novità come un segnale di progresso e civiltà, ricevendo il plauso scontato delle associazioni del movimento gay. Com’è noto, però, l’ordinamento italiano, per espressa statuizione della Costituzione, non riconosce altra natura al matrimonio che quella di fondare la famiglia sulla comunione di vita tra un uomo e una donna. Se gli effetti pratici di questa mossa sono dunque pressoché nulli – come nulla è stata la considerazione in cui il sindaco ha tenuto le sentenze della Cassazione che negano legittimità a dette trascrizioni – gli effettisimbolici sono e anzi mirano ad essere decisamente drastici, incisivi e senza dubbio deleteri. La delibera è una vera picconata all’antropologica che da millenni qualifica la natura del matrimonio e, di conseguenza, l’identità e il ruolo impareggiabile della famiglia nel contesto sociale. Nel dibattito sulla rivoluzione del diritto di famiglia (che alcuni vorrebbero trasformare in “diritto delle famiglie”)sentiamo troppo spesso abusare di una retorica dei diritti davvero demagogica e priva di fondamentogiuridico. Si rivendica il “diritto al matrimonio” come il diritto di ogni individuo di vederpubblicamente riconosciuto qualsiasi tipo di legame sentimentale o latu sensu familiare che lo lega ad altre persone: oggi si chiede di rimuovere il requisito della diversità sessuale, domani si chiederà di rimuovere, ampliandolo, quello del numero dei coniugi. Il senso del matrimonio non ha però nulla a che vedere con il riconoscimento di “diritti sentimentali”, e sia la Corte Costituzionale che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo hanno negato più volte che esista un ipotetico diritto al matrimonio omosessuale; la stessa Consulta ha ribadito anzi in modo chiarissimo che è la potenziale capacità procreativa dell’unione tra un uomo e una donna a differenziare il matrimonio dalle convivenze tra persone omosessuali, senza alcun pregiudizio ed anzi nel pieno rispetto del principio di eguaglianzatanto spesso (a sproposito) invocato. Questo è il senso del matrimonio: riconoscere, tra le infinite formazioni umane ove l’uomo svolge la sua personalità, l’unica attraverso cui passa ogni speranza di vita e di futuro. Questa speciale società naturale è la famiglia, la stabile comunione di vita tra un uomo e una donna, naturalmente orientata alla procreazione, impareggiabile dimensione di crescita e scuola di vita per i figli. Annacquare e alterare il matrimonio significa manomettere l’intero sistema di protezione e promozione della famiglia: non c’è niente di progressista in questo! Smettere di riconoscerenell’unione tra uomo e donna il paradigma dell’intera esperienza umana è il sintomo di una depressione culturale gravemente autolesionista, che non ha assolutamente nulla a che vedere con il pur dovutorispetto delle scelte di vita delle persone, dei loro affetti e sentimenti. Da anni ideologie e filosofie relativiste tentano di delegittimare il ruolo antropologico della famiglia e di sconfessare la centralità della complementarietà tra uomo e donna nel progredire dell’esistenza umana. La nuova frontiera del progresso sarebbe ora negare che ogni figlio ha naturalmente bisogno e diritto di crescere con un papà e una mamma, perché insistere sulla diversità sessuale dei genitori sarebbe ormai prova di una mentalitàretrograda e “omofoba”. Purtroppo, sulla scia di queste stesse falsità va a collocarsi il disegno di legge sulle unioni civili in esame al Parlamento: prevede infatti la diretta applicazione della disciplina matrimoniale alle coppie di conviventi dello stesso sesso, con tanto di adozione di minori (mascherata).Tutto ciò, nonostante la Costituzione sproni espressamente la Repubblica ad agevolare la formazione della famiglia, e non già la sua deformazione. La scelta infelice del sindaco Merola, che muovepurtroppo in quest’ultima direzione, merita la più ferma e risoluta opposizione di chi vuole preservare i diritti della famiglia e, con essi, il bene comune.

 

Filippo Savarese
portavoce La Manif Pour Tous Italia

 

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